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"It has become a widespread practice to define biodiversity in terms of genes, species and ecosystems, corresponding to three fundamental and hierarchically-related levels of biological organisation."


Il termine "Biodiversità", reso popolare dal noto biologo naturalista Edward O. Wilson nel suo libro “Biodiversity” (Wilson 1988), è una parola relativamente recente impiegata per definire la varietà delle forme viventi sulla Terra.

In modo più articolato e completo, essa descrive il risultato del progetto biologico presente nel patrimonio genetico di una specie ed il suo realizzarsi fenotipicamente, all’interno dell’ambiente di adattamento; è cioè il risultato di un continuo "dialogo" fra genotipo e fenotipo, fra la progettualità che è in ogni specie ed in ogni individuo di questa e il suo spazio di attuazione, dove l’ambiente interviene in modo anche pesante per determinare le strutture secondo piani precisi di sviluppo (Dallai R., 2005).

Molto spesso la biodiversità viene definita come il numero di specie presenti in un certo ambiente, tuttavia questo è estremamente riduttivo e il concetto di biodiversità non è riconducibile ad un singolo numero. Essa, infatti, include le variazioni a tutti i livelli della materia vivente, dai geni ai biomi passando attraverso gli individui, le popolazioni, le specie e le comunità (o gli ecosistemi, se includiamo anche i fattori fisico-chimici che condizionano gli organismi).

Il concetto di biodiversità include, quindi, la diversità genetica all'interno di una popolazione, il numero e la distribuzione delle specie in un'area, la diversità di gruppi funzionali (produttori, consumatori, decompositori) all'interno di un ecosistema, la differenziazione degli ecosistemi all'interno di un territorio.

Le comunità ecologiche distribuite sulla nostra Terra mostrano caratteristiche estremamente differenti: già nel secolo scorso si osservò che le comunità tropicali ospitano un numero di specie sia animali sia vegetali molto più grande che non le comunità delle zone temperate o polari.

In genere l'organizzazione degli ecosistemi sembra essere molto più articolata e diversificata in certe zone del nostro globo che in certe altre. Ad esempio isole piccole o lontane dalla terraferma hanno comunità più semplici che non isole grandi o vicine ai continenti (MacArthur e Wilson, 1967).

La regolarità con cui questi fatti vengono osservati conferma che queste caratteristiche non possono essere un puro accidente storico, ma devono avere delle spiegazioni più profonde. Ecco perché lo studio della diversità ecologica è stato uno dei campi di indagine più attivi negli ultimi 40 anni. Esso è tanto più attuale in questo momento storico, in cui la biodiversità sembra essere un valore costantemente messo in pericolo dall'attività umana attraverso la deforestazione, l'utilizzo di sconsiderate pratiche agricole, l'inquinamento dell'acqua, dell'aria e dei suoli, lo sfruttamento irrazionale delle risorse naturali.

L'insieme dei viventi sul nostro pianeta fa parte di un unico grande sistema interdipendente: esso interagisce e dipende da fattori abiotici quali l'atmosfera, gli oceani, le acque dolci, le rocce ed il suolo. L'intera umanità è intimamente correlata con tale "biosfera" della quale noi siamo parte integrante.

Biodiversità è il termine con il quale si rappresenta la varietà biologica a ogni livello di organizzazione, dal genoma sino all'ambiente. Il complesso dei sistemi viventi e le loro relazioni costituiscono il patrimonio biologico naturale il quale, al pari della ricchezza materiale e culturale, deve essere attentamente gestito e tutelato. Nella sua accezione più generale globale la diversità biologica rappresenta, tuttavia, un "oggetto misterioso" , complesso e difficile da studiare. L'analisi della biodiversità richiede, infatti, di considerarla come una proprietà, un attributo di un sistema, riconducibile a parametri quantizzabili e misurabili.

La biodiversità contribuisce in maniera decisiva alla vita del pianeta attraverso milioni di geni che servono a comporre la struttura vivente, migliaia di piante e animali che popolano la Terra e innumerevoli organismi che costituiscono gli ecosistemi naturali.



PRINCIPALI LIVELLI DI ORGANIZZAZIONE BIOLOGICA


La Biodiversità rappresenta l'indice della diversità totale delle specie presenti in un data area e/o in un determinato periodo di tempo.

In sostanza la biodiversità rappresenta una polizza di assicurazione per la vita: più alta è la variabilità degli organismi, più alta è la loro capacità di adattarsi e di sfruttare l’energia disponibile.

Il termine "biodiversità" cominciò ad essere usato negli anni '80 del secolo scorso, e fu definito (Rosen, 1985) come "diversity at all level of biological organization". Difatti, la diversità (o multiformità) è una caratteristica inerente ai viventi, ad ogni livello. Benché tutti i viventi siano organizzati su basi molto uniformi (quattro sole basi azotate stanno alla base della diversità degli acidi nucleici, ed una ventina di aminoacidi formano l'infinità di proteine), la diversità si manifesta dal livello molecolare a quello ecosistemico.

Ad esempio, in un locus sul cromosoma ci può essere più o meno diversità (un allele, due alleli); all'interno di un individuo ci può essere più o meno diversità (più o meno loci polimorfi, cioè loci in cui si manifestano diversi alleli); in una popolazione ci può essere più o meno diversità (individui più o meno diversi l'uno dall'altro); all'interno di una specie ci può essere più o meno diversità (popolazioni più o meno diverse l'una dall'altra); su di un territorio ci può essere più o meno diversità (più o meno specie diverse); all'interno di un ecosistema ci può essere più o meno diversità (più o meno specie diverse), e all'interno di una regione ci può essere più o meno diversità (più o meno ecosistemi diversi) (da: www.sma.unibo.it/erbario/b11.html).

Si conoscono quattro differenti tipi di biodiversità:

  • degli ecosistemi
  • genetica
  • specifica
  • culturale

    Ognuna delle suddette è necessaria e sufficiente per il mantenimento delle altre ed indispensabile per la sopravvivenza dei relativi ecosistemi (IUCN, UNEP and WWF)




    La biodiversità degli ecosistemi è la varietà degli habitat presenti in un territorio. La diversità del paesaggio può considerarsi come il livello di diversità che riunisce i livelli genetico e specifico. La sua origine remota è nella diversità genetica da cui ha avuto origine la diversità specifica. La diversità delle specie ha originato comunità ed ecosistemi diversi, di cui si compone il paesaggio.

    Come mai le forme di vita che abitano la Terra sono così tante? In pratica, perché c’è la biodiversità? Perché in 4 miliardi di anni, da quando è apparsa la vita, non si è stabilizzato un numero ridotto di forme, perfettamente adattate all‘ambiente in cui vivono? Innanzitutto perchè l’ambiente non è unico. E’ a sua volta formato da microambienti che sono in costante cambiamento.

    La vita sulla Terra è organizzata così: ogni organismo, esattamente come capita per i computer collegati a una rete, fa parte di una comunità di altri esseri viventi, che insieme formano un ambiente. Ci sono microambienti. per esempio il ramo di un albero di mogano, e grandi ecosistemi, per esempio la foresta tropicale dove il mogano cresce. E’ ciò che accade sul ramo influenza la foresta.

    La diversità degli ecosistemi è riferita alla miriade di ambienti diversi in cui la vita può essere presente (foreste, barriere coralline, ambienti umidi, praterie, ambienti sotterranei, etc.); da questi ambienti le specie vengono fortemente influenzate si che, allorquando un tipo di habitat si deteriora o scompare, un gran numero di specie può essere di conseguenza eliminato. Allo stesso modo le componenti biologiche (specie) possono a loro volta influenzare le caratteristiche abiotiche del nostro pianeta [VEDI: L' IPOTESI DI GAIA].

    Il grado di diversità delle comunità ecologiche è assai differente a seconda delle zone del globo terracqueo che si considerano. L'andamento della diversità mostra delle regolarità molto interessanti. La più famosa è il gradiente di diversità dal polo ai tropici: gli ecosistemi artici sono meno diversi di quelli temperati i quali sono meno diversi di quelli tropicali.

    Gli esempi abbondano sia nel mondo vegetale sia in quello animale. Il Rio delle Amazzoni contiene oltre mille specie di pesci, mentre l'America Centrale ne ha 456 e i Grandi Laghi del Nord America 172. La foresta pluviale può contenere più di 200 specie di alberi su di una superficie di due ettari, mentre le foreste della zona temperata sulla medesima superficie non ospitano più di una quindicina di specie. Le formiche mostrano un gradiente molto chiaro dai tropici verso i poli.

    Questo è probabilmente il livello di biodiversità meno precisamente definito. La valutazione della diversità a livello di ecosistemi, habitat o comunità è, infatti, relativamente complesso. Questo dipende soprattutto dal fatto che non esiste un unico criterio di classificazione di queste strutture ecologiche, in quanto le principali unità riconoscibili rappresentano, di fatto, parti differenti di un continuum naturale altamente variabile. La diversità degli ecosistemi può essere stimata, in senso lato, in termini di distribuzione globale o continentale dei diversi ecosistemi oppure in termini di diversità di specie all'interno degli ecosistemi.



    I BIOMI


    Con il termine bioma si intende il complesso degli ecosistemi di una particolare area geografica del pianeta, definiti in base al tipo di vegetazione dominante. La conformazione dei biomi terrestri dipende dal clima, dalla latitudine, dall’altitudine, dai ritmi stagionali, dall’abbondanza delle precipitazioni e dalla temperatura.

    Passando dai poli all’equatore, quindi, si attraversano tanti biomi quante sono le fasce climatiche: dalla tundra delle alte latitudini, caratterizzata da una vegetazione bassa di muschi e licheni, si passa alla taiga, rappresentata da vaste foreste di conifere; quindi si incontra la zona della foresta decidua temperata, dominata da latifoglie quali betulle, querce, faggi e aceri, la prateria, i deserti e, infine, la foresta pluviale tropicale.

    Si distinguono biomi terrestri e biomi dell'idrosfera. L'identificazione di un bioma terrestre si basa sulle specie proprie e sulle caratteristiche fondamentali dell'ambiente.

    I principali biomi sono:

  • la taiga
  • la foresta temperata
  • la prateria
  • la tundra
  • il deserto
  • la savana tropicale
  • la foresta equatoriale.

    Due biomi particolari sono il bioma mediterraneo e quello polare. I biomi dell'idrosfera vengono distinti in base alle specie animali; i principali sono: il bentonico (o del fondo, litoraneo o profondo), quello dei banchi di corallo, il pelagico, quello degli stagni e dei laghi, quello dei fiumi.






    La diversità genetica si riferisce alla variabilità del patrimonio genetico nell’ambito di una singola specie. Essa include le variazioni genetiche tra popolazioni distinte della stessa specie, e le variazioni genetiche all’interno di una stessa popolazione. La diversità genetica può essere misurata usando vari metodi basati sul DNA ed altre tecniche (World Conservation Monitoring Centre, 1992a). La variazione genetica si verifica in popolazioni di organismi che si riproducono sessualmente mediante ricombinazione e, nei singoli individui, mediante mutazioni nei geni e nei cromosomi. Il pool di variazioni genetiche presenti in una popolazione che si incrocia liberamente viene modellato dalla selezione naturale. La selezione fa sì che alcuni attributi genetici vengano favoriti rispetto ad altri, come risultato si hanno modifiche della frequenza di geni all’interno del pool.

    La diversità genetica rappresenta la variazione dei geni all'interno delle specie [VEDI: VARIABILITA' GENETICA]. La sopravvivenza di una specie dipende essenzialmente dalla varietà di popolazioni di cui è composta: le specie costituite da una sola popolazione contengono evidentemente una minore variabilità rispetto a specie pluridimensionali. La sopravvivenza di una specie dipende, quindi, dal mantenimento delle sue popolazioni; se queste si riducono di numero, si riducono di consequenza le opportunità adattative della stessa specie.

    La variabilità genetica è la materia prima della diversità a ogni livello di organizzazione . In questo ambito vengono quindi evidenziati i pericoli per la conservazione della stessa, derivanti dall'ibridazione e dall'alterazione della struttura demografica delle popolazioni. La conoscenza del numero di specie presenti in un dato habitat e delle loro proporzioni relative permette di definire la ricchezza specifica. Ed è attraverso lo studio della distribuzione di questa ricchezza che si possono individuare i "punti caldi" della diversità, e catalogare le specie endemiche, quelle rare e quelle minacciate di estinzione. Il tutto integrato da un'analisi del paesaggio, che descriva l'eterogeneità territoriale secondo un criterio ecologico, ricostruendo il tessuto di relazioni tra le comunità naturali nell'ambiente.

    La diversità genetica è importante per la capacità di adattamento della specie nel corso dell’evoluzione e può essere misurata usando vari metodi basati sul DNA ed altre tecniche (World Conservation Monitoring Centre, 1992). Una popolazione o una specie che per qualche motivo perda una parte del suo pool genico, corre maggiori rischi di estinguersi, venendo meno parte della sua potenziale adattabilità a nuove condizioni ambientali.

    Inoltre la perdita di forme geniche potrebbe, per questioni casuali, far aumentare la frequenza di geni letali, subletali o semplicemente sfavorevoli alla specie con un conseguente aumento del rischio di estinzione. Si stima che ci siano 10 miliardi di geni diversi distribuiti nella totalità degli esseri viventi a livello mondiale, tuttavia, essi non contribuiscono tutti allo stesso modo alla diversità genetica globale (WCMC, 1992b).

    In particolare, i geni che controllano processi biochimici fondamentali si conservano immutati nell’ambito dei diversi gruppi di specie (taxa), e generalmente presentano variazioni minime. Altri geni, maggiormente specializzati, presentano una gamma di variazioni più ampia. Negli ultimi decenni sono nate iniziative per la conservazione della diversità genetica in riferimento a specie in pericolo di estinzione (animali e vegetali), legate alle tradizioni storiche (razze animali di allevamento, varietà di piante legate alla cucina tradizionale) e economiche.

    In questa ottica devono essere valutate le adesioni ai programmi di conservazione (ex situ) del germoplasma, a cui partecipano molti giardini botanici, e gli scambi di individui nonché i programmi di inseminazione artificiale a cui aderiscono molti giardini zoologici del mondo (da: APAT - Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici).

    "La diversità genetica è un elemento di base della biodiversità e svolge un ruolo fondamentale per la sopravvivenza e la conservazione delle popolazioni. La selezione naturale ed i processi d’adattamento delle popolazioni alle mutevoli condizioni climatiche ed ambientali possono svolgersi solo in presenza di variabilità genetica.

    La conservazione della diversità genetica, nell’ambito della conservazione degli ecosistemi e delle popolazioni, richiede interventi attivi, come viene esplicitamente indicato dalle convenzioni e dalle direttive internazionali sull’ambiente.

    La conoscenza delle caratteristiche genetiche delle popolazioni che compongono le comunità naturali e l’inventario della diversità genetica, sono strumenti tecnici indispensabili a sostegno degli interventi legislativi e dei piani d’azione per la conservazione, per la gestione e l’uso sostenibile delle risorse faunistiche nazionali.

    Il Sistema nazionale delle Aree protette custodisce una buona parte delle popolazioni dei vertebrati d’importanza prioritaria per la conservazione. Le caratteristiche genetiche di molte di queste popolazioni sono ancora, parzialmente, sconosciute. Esiste una componente di diversità genetica fra le popolazioni, che contribuisce a determinare la biodiversità e la complessità degli ecosistemi. Esiste inoltre una componente di diversità genetica entro popolazione, componente essenziale affinché possano svolgersi i processi di selezione naturale e di adattamento alle sempre variabili condizioni ambientali.

    La variabilità entro popolazione è quindi un elemento fondamentale per garantire la vitalità e la persistenza nel tempo delle popolazioni stesse. Le politiche nazionali di conservazione delle popolazioni naturali dovrebbero, pertanto, includere progetti di monitoraggio della diversità genetica fra ed entro popolazioni di particolare significato conservazionistico. Un inventario della diversità genetica costituisce uno strumento di utile supporto per la gestione e l'uso sostenibile delle risorse biologiche" [da: Ettore Randi - Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (I.N.F.S.): IL RUOLO DELLE AREE PROTETTE NELLA CONSERVAZIONE DELLA DIVERSITÀ GENETICA].



    La diversità specifica, ciò che comunemente viene definito "biodiversità", rappresenta il complesso di specie che abita una data regione. Tale diversità può essere misurata in vario modo:come "ricchezza di specie" o come "diversità tassonomica" (o alfa-diversità) che prende in considerazione le relazioni tra le diverse specie e la ricchezza di specie di una regione. [VEDI: SPECIAZIONE].

    Per "ricchezza di specie" si intende in particolare il numero delle specie presenti in un dato luogo; essa può essere anche utilizzata come termine di paragone con altre zone. La ricchezza di specie viene considerata come la misura generale di biodiversità più semplice e facile da valutare, anche se non può che rappresentare una stima approssimativa e incompleta della variabilità presente tra i viventi.

    La ricchezza di specie varia geograficamente: nei climi caldi in genere vive un maggior numero di specie, rispetto a quelli freddi, così come nelle zone più umide vi sono più specie che in quelle più secche. Le zone tropicali, in cui crescono le foreste pluviali, sono tra le regioni a più alto indice di biodiversità. Si calcola che nelle foreste pluviali, ossia in una regione che copre circa il 7% del globo, si trovi almeno il 50% delle specie viventi.

    Le zone con minori variazioni stagionali accolgono più specie di quelle con stagioni ben definite; zone con topografia e clima diversificati albergano più specie di quelle uniformi. Nonostante l'importanza della specie come unità di base, non sempre i ricercatori sono d'accordo sui metodi di classificazione da utilizzare per determinare i rapporti di parentela tra i diversi organismi, perciò bisogna ricordare che l'inserimento di un determinato organismo all'interno di un certo gruppo tassonomico è suscettibile di variazioni, nel caso si verifichino scoperte che mettono in luce diversi rapporti di parentela tra i viventi.

    Alcune particolari specie possono, per il ruolo che esse rivestono nell'ecosistema, aumentare la biodiversità di una specie. Ad esempio, specie arboree che raggiungono elevate altezze offrono una grande quantità di risorse utili a molte specie diverse (come uccelli nidificanti, piante epifite, parassiti, erbivori frugivori) e contribuiscono, quindi, alla biodiversità di quell'ambiente. Tuttavia, non esiste ancora un metodo per valutare in modo quantitativo l'importanza di questi ruoli e confrontare i valori ottenuti nei diversi gruppi (da: http://it.encarta.msn.com)

    Il censimento della ricchezza specifica viene spesso utilizzato come valutazione della diversità; nondimeno, la numerosità specifica è solo una parte della biodiversità; molto importante risulta la frequenza del numero di individui all'interno di ogni singola specie.

    Un alto tasso di diversità specifica si riscontra nelle specie planctoniche, per le quali è possibile analizzare e distinguere organismi di diversa forma e dimensione, dotati di vari adattamenti e differenti anche per ciclo biologico e per le modalità con cui si procurano energia.

    La più semplice maniera di misurare la diversità di una comunità ecologica è forse quella di contare il numero di specie che ne fanno parte. Abbiamo già detto che questo è molto riduttivo, tuttavia va notato che anche la semplice attribuzione di questo solo numero a un ecosistema implica comunque uno sforzo notevolissimo, ovvero la raccolta di un campione di organismi sufficientemente rappresentativo di tutte le specie della comunità e il riconoscimento delle specie a cui appartengono i diversi organismi.

    Il campione stesso, però, fornisce delle ulteriori informazioni e precisamente le abbondanze relative delle diverse specie, cioè le percentuali con cui le varie specie sono presenti nel campione e quindi, se il campione è statisticamente significativo, nella comunità. È facile capire che anche le abbondanze relative, oltre al numero di specie, concorrono a definire il grado di diversità di un ecosistema. Consideriamo infatti due comunità ciascuna contenente dieci specie, ma in cui la prima sia caratterizzata da specie aventi tutte la stessa abbondanza (10% del totale), mentre la seconda è dominata da una specie cui appartiene il 95% degli organismi del campione con le restanti nove specie concentrate nel rimanente 5%.

    Tutti attribuirebbero intuitivamente un maggior grado di diversità alla prima comunità. Per risolvere questo problema e descrivere la diversità ecologica in maniera più efficace che non con il solo numero di specie vengono, perciò, utilizzati indici di diversità (indice di diversità di Shannon-Wiener; indice di diversità di Simpson). che tengono conto anche delle abbondanze relative (da: http://olmo.elet.polimi.it/ecologia)


    QUANTE SPECIE CI SONO SUL PIANETA TERRA?





    La biodiversità non è solo diversità genetica, specifica ed ambientale, ma anche culturale. Quest' ultima si può esprimere in vari modi, con la diversità di linguaggio, di cultura, ecc. e rappresenta un formidabile strumento di adattamento ad ambienti mutevoli e difficili.

    La biodiversità culturale si è evoluta insieme a quella biologica. Eliminando la prima, si cancella la seconda. Le culture, i sistemi di governo e le economie si trasformano in modelli negativi quando vengono stabiliti e plasmati dall’esterno. La globalizzazione non è altro che la sostituzione dei sistemi auto-sanciti e auto-organizzati con altri manipolati dal di fuori, finanziati e organizzati a livello mondiale.



    Perchè la diversità nell'ambito di una comunità biologica possa essere considerata una risorsa deve essere caratterizzata da un adeguato numero di specie, da un'alta valenza ecologica e da uno stretto legame con le condizioni ambientali. E' noto come il nostro pianeta sia popolato da numerosi organismi, animali e vegetali che non conosciamo: attualmente sono state classificate poco più di un milione di specie, contro un numero di specie esistenti di gran lunga superiore. E', quindi, urgente e doveroso preoccuparsi della conservazione di specie e ambienti che rischiano di scomparire per sempre, in molti casi ancora prima di essere scoperti. Alcuni biomi risultano più importanti rispetto ad altri in termini di ricchezza e di diversità specifica: gli estuari dei grandi fiumi, le barriere coralline, gli ambienti marini litorali e le foreste tropicali, queste ultime abitate da oltre la metà degli esseri viventi, pur ricoprendo solo una piccolissima parte (6 %) dell' intera superficie terrestre.

    Infine, al pari della diversità genetica e specifica, alcuni attributi della cultura umana (nomadismo, cambiamento di coltivazioni, etc.) rappresentano altrettante "soluzioni" al problema della sopravvivenza in ambienti particolari e all'adattamento a condizioni ambientali mutevoli: la diversità culturale [VEDI: IMPATTO DELL' UOMO SULLA NATURA; GLOBALIZZAZIONE].si può esprimere in vario modo, con la diversità di linguaggio, religione, tecniche di coltura ed allevamento, arte, etc.







    La terra è popolata da numerosi esseri viventi, animali e vegetali che non conosciamo: oggi sono state classificate appena un milione di specie, mentre le stime elaborate dai biologi vanno dai 5 ai 10 milioni. Diventa, quindi, ancora più urgente e importante occuparsi della conservazione di specie e ambienti che rischiano di sparire per sempre a causa dell'uomo, ancora prima di essere scoperti.

    E' noto che alcuni biomi risultano più importanti rispetto ad altri in termini di ricchezza di specie: le barriere coralline, gli estuari dei fiumi e le foreste tropicali che accolgono oltre la metà degli esseri viventi, pur ricoprendo il 6% della superficie terrestre, sono i più importanti. Perchè la diversità nell'ambito di una comunità biologica possa essere considerata una risorsa deve essere caratterizzata da un adeguato numero di specie, da un'alta valenza ecologica e da un legame con le condizioni ambientali. Inoltre è necessaria un'uniforme e approfondita conoscenza dei dati di base e la disponibilità di dati recenti.

    La biodiversità è l'assicurazione sulla vita del nostro pianeta. Quindi la conservazione della biodiversità deve essere perseguita senza limiti poichè essa costituisce un patrimonio universale, che può offrire vantaggi immediati per l'uomo:

    - mantenimento degli equilibri climatici sia a scala locale che planetaria; infatti le specie vegetali oltre ad essere l'unica fonte di ossigeno sul nostro Pianeta, hanno anche un ruolo fondamentale negli equilibri idrici e in quelli gassosi.

    - fonte di materiale di studio: lo studio della Biodiversità permette di avere fondamentali conoscenze anche per comprendere meccanismi biologici analoghi nell'uomo.

    - uso sostenibile della flora per fini alimentari e medicinali: per quanto riguarda l'uso della flora per l'alimentazione c'è da dire che oggi viene sfruttata solo una minima parte delle infinite possibilità alimentari fornite dalle piante. Invece utilizzando meglio tali risorse si potrebbero soddisfare i problemi di nutrizione in molte parti del mondo, senza alterare equilibri essenziali per l'ambiente.



    Il nostro pianeta ospita attualmente, tra microorganismi, animali e vegetali, oltre 15 milioni di specie viventi: una varietà ed un numero apparentemente impressionanti, in realtà solo una frazione infinitesima (0,1 %) di quella che è stata la diversità biologica nel passato: di fatto il 99,9 % delle forme vissute sul nostro pianeta si sono gradualmente estinte a seguito di piccole e grandi "catastrofi" ambientali che si sono avvicendate nel corso delle diverse ere geologiche.

    All'inizio dell' 800 era, appunto, il "catastrofismo" di Cuvier a interpretare la scoperta di resti fossili appartenuti ad animali o piante estinte come risultato di imponenti crisi ambientali che decimarono le specie esistenti. Forte oppositore di Cuvier fu il geologo anglosassone Lyell il quale, nello stesso periodo, contrappose al "catastrofismo" di Cuvier la teria dell' "attualismo" secondo la quale le stesse forze, nel passato e nel presente, avrebbero consentito una evoluzione continua e graduale, senza necessariamente invocare l'intervento di catastrofi e fratture traumatiche.

    Per gran parte del nostro secolo gli studiosi hanno accettato quest'ultima interpretazione (gradualismo), considerando l'evoluzione come un processo continuo comprendente nascita di nuove specie ed estinzione di altre, quest'ultimo fenomeno visto come un evento naturale, quasi "fisologico", determinato da un difettoso o mancato adattamento delle specie alle continue modificazioni ambientali.

    La gravità della crisi ambientale attuale e le enormi catastrofi prodotte dallo sviluppo irrazionale e incontrollato della civiltà umana ha convinto gli scienziati moderni ad accettare un compromesso tra le impostazioni su esposte: la storia della vita sulla terra potrebbe essere stata condizionata da una alternanza di lunghi periodi di stabilità ambientale, caratterizzati da ritmi fisiologici di estinzioni, alternati a bruschi ("punteggiati") eventi catastrofici che avrebbero determinato estinzioni più massive.

    Nonostante le ripetute crisi di estinzione, la diversità biologica è andata, comunque, aumentando nel tempo sino a raggiungere il valore attuale, il più elevato in assoluto, anche se attualmente stà rapidamente decrescendo a causa dell'attività umana.







    Il cammino della biodiversità è stato scandito da almeno cinque i grandi periodi di crisi (catastrofi ambientali), prodottesi alla fine dell'Ordoviciano, del Devoniano, del Permiano, del Cretaceo e durante il Quaternario; in quest' ultimo periodo è stata ipotizzata, inoltre, una sesta estinzione di massa. ancora in fase di forte esplosione e di grande attualità .

    Nel corso dell'estinzione, o, per usare un termine più appropriato, della crisi biologica della fine del Paleozoico, forse la più importante della storia geologica del nostro pianeta, scomparvero i nautiloidi, molluschi cefalopodi oggi rappresentati da pochissime specie (esempio, l'argonauta, o il nautilus), ed il loro posto fu preso dai cefalopodi ammoniti. Le ammoniti costituiscono un gruppo di fossili-guida importantissimo, per cui le conosciamo molto bene. A loro volta le ammoniti si estingueranno alla fine del Cretaceo, insieme ai dinosauri e a molti altri gruppi. Il loro posto, nei mari del nostro pianeta, fu preso dai teleostei, i pesci ossei.

    La famiglia degli ominidi, alla quale apparteniamo noi (e solo noi) non ha mai avuto un contatto diretto coi dinosauri. Gli ominidi comparvero solo molte decine di milioni di anni dopo la scomparsa dell'ultimo dinosauro!





    Le prime tre grandi estinzioni si realizzarono durante l' Era Primaria (Paleozoico), le altre tre rispettivamente durante il Secondario (Mesozoico) (Triassico-Cretacico) ed il Pleistocene (Quaternario).







    .... DURANTE IL QUATERNARIO


    Il Quaternario corrisponde a circa 1,75 milioni di anni fa fino ad oggi. Il Quaternario comprende il Pleistocene e l’Olocene. Il Pleistocene è l’epoca in cui il mondo fu intrappolato nella grande era glaciale,con calotte di ghiaccio immense che coprivano quasi tutto l’emisfero nord. Nel successivo milione e mezzo di anni,la terra attraversò quattro glaciazioni,quella più recente terminò 100.000 anni fa,all’inizio dell’Olocene, e vide l’estinzione di molti mammiferi.

    Nell'Eocene e buona parte dell'Oligocene, a causa dell'alta temperatura media, molti generi tropicali e subtropicali di palme si estendono verso Nord fino ad occupare le attuali regioni artiche e dell'Alaska e della Groenlandia. Anche il clima italiano durante l'Eocene e parte dell'Oligocene è tipicamente tropicale, come la flora testimonia. Bellissimi esemplari di palme fossili, appartenenti ai generi Phoenicites, Latanites, si trovano numerosi nei giacimenti eocenici ed oligocenici del Veneto.

    A partire dalla fine dell'Oligocene in tutte le odierne regioni extratropicali ha inizio un progressivo abbassamento della temperatura. Esso raggiunge successivamente il suo estremo nei periodi glaciali del Quaternario. Inoltre, la formazione di grandi rilievi montuosi (Pirenei, Alpi, Carpazi, Caucaso, Himalaya) porta allo sviluppo di nuovi ambienti montani, più freddi delle regioni circostanti; al loro clima si adattano vegetali che prima vivevano in ambiente tropicale e subtropicale e compaiono nuove specie. Il ritiro delle foreste porta alla diffusione delle praterie.

    Nel Pleistocene (Quaternario inferiore) l'alternarsi di periodi glaciali freddi e interglaciali caldi fà sì che le flore continentali compiano ripetute e rapide migrazioni, in seguito al fluttuare del clima. Ad esempio le specie di clima temperato o subtropicale devono spostarsi verso Sud durante le glaciazioni, sopravvivendo localmente in stazioni protette. Durante gli interglaciali le specie termofile avanzano nuovamente verso nord, ma con forza minore. In Europa le flore sono fortemente limitate nelle loro migrazioni dalle catene montuose dei Pirenei, delle Alpi e del Caucaso, che costituiscono barriere geografiche per lo più insormontabili.

    Il risultato complessivo delle glaciazioni è l'estinzione in Europa di tutte le specie tropicali, l'impoverimento di molte specie artiche terziarie termofile e la formazione di una nuova flora, derivata da piante adattate ai climi freddi.

    Nel Quaternario la fauna e la flora assumono aspetti "moderni", con la comparsa di molte specie ancora oggi viventi e la scomparsa di molte "vecchie" specie terziarie. Tipici gli "indicatori climatici" e le faune cavernicole quaternarie, rinvenute in molte località italiane, composte da animali che si rifugiavano nelle grotte per sfuggire al freddo intenso dei periodi glaciali.


    Durante il Quaternario, circa 10.000 anni fa, l'uomo inizia la sua esplosiva espansione in un ambiente fortemente indebolito e stressato da eventi climatici di ampia portata. Si tratta di una specie intelligente, sociale ed aggressiva, in grado di modificare, anche in modo drammatico, l'ambiente. In tempi recenti, come è noto, la nostra specie ha avuto, e stà avendo tuttora, un effetto devastante sull'atmosfera e sulle foreste tropicali, espressione queste ultime di circa il 50% dell'intera biodiversità terrestre.

    Ogni anno scompaiono migliaia di chilometri quadrati di foresta tropicale: la deforestazione incontrollata distrugge in maniera irreversibile una enorme risorsa naturale, con modificazioni significative sul clima ed avviando all' estinzione un numero enorme di specie vegetali ed animali.

    Si pensi, inoltre, che mentre il tasso naturale di estinzione è valutato attorno ad una specie per anno [ Tab. I ], al contrario il tasso attuale è circa 10.000 volte superiore, il che vuol dire 3 specie/ora. Con tale ritmo di estinzione si può ipotizzare una perdita di circa 1 milione di specie nel secolo attuale, ma moltissime altre ne verranno certamente perse nei prossimi decenni se non verranno prese opportune e drastiche misure di salvaguardia ambientale. Inoltre, come è stato messo in evidenza in occasione della Conferenza di Kyoto (1997), il riscaldamento globale del pianeta e i notevoli cambiamenti climatici prodottisi in anni recenti, pongono un grosso prolema di sopravvivenza per moltissime specie e per l'intera umanità.

    L'uomo, infine, oltre all'estinzione, stà provocando anche una continua "erosione" della variabilità genetica delle specie, limitandone fortemente le potenzialità evolutive, con conseguenze imprevedibili ed irreversibili!


    Tre specie scompaiono ogni ora: 70 al giorno! Continuando di questo passo, entro il 2000 avremo distrutto il 20% delle specie del pianeta (E. O. Wilson, Harvard University)


    Forse una lettura meno gradualista e più catastrofista dell'evoluzione del nostro pianeta potrebbe aiutare l'uomo moderno a contrastare e a porre rimedio a questo pericoloso incremento del tasso di estinzioni e alla drastica riduzione della biodiversità attuale! Ogni estinzione, infatti, impoverisce l'umanità intera ed il rapido declino della biodiversità rappresenta oggi una grossa ipoteca per il futuro stesso dell'uomo.






    La Convenzione sulla Diversita' Biologica, firmata nel 1992 a Rio de Janeiro dai rappresentanti di 153 paesi, ha sancito l'intrinseco valore e l' enorme importanza della conservazione della biodiversità sul nostro pianeta, riconoscendo che essa costituisce un vero e proprio valore per l'intera umanità. In tale occasione è stata richiesta l'identificazione ed il monitoraggio delle seguenti categorie:


  • Ecosistemi ed habitat contenenti alta diversità, elevato numero di taxa endemici o variamente a rischio (threatened ), specie di interesse sociale, economico, culturale o scientifico.

  • Specie e comunità domestiche o coltivate, di interesse per la medicina, l'agricoltura o di altro valore economico; specie importanti per la conservazione ed il sostenimento della biodiversità, quali le "specie indicatrici".

  • Genomi e geni di particolare interesse sociale, scientifico o economico.





    Successivamente la I.U.C.N. (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) (1996-1999) ha adottato uno schema di classificazione di tale valore, tramite l'individuazione di "Red List Categories", ossia di criteri di assegnazione di rischio di estinzione per le diverse specie. In tale schema figurano a tutt'oggi solo 15.000 specie, di cui ben 5200 considerate ad altissimo rischio di estinzione!



    "If today is a typical day on planet Earth, we will lose 116 square miles of rainforest, or about an acre a second. We will lose another 72 square miles to encroaching deserts, as a result of human mismanagement and overpopulation. We will lose 40 to 100 species, and no one knows whether the number is 40 or 100. Today the human population will increase by 250,000. And today we will add 2,700 tons of chlorofluorocarbons to the atmosphere and 15 million tons of carbon. Tonight the Earth will be a little hotter, its waters more acidic, and the fabric of life more threadbare." ...... David Orr (1991).












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